Preparare il post-Covid

Di fronte all'imprevedibilità che ancora ci attende, è difficile avere certezze.

Ripensare le proprie strategie e trovare nuovi equilibri tra efficienza e efficacia è fortemente raccomandabile

L’emergenza sanitaria in corso sta avendo ripercussioni di enorme portata sull’economia, e molte aziende si interrogano sulle prospettive di business post-Covid. Una domanda è ricorrente: è possibile, quando sarà passato questo momento, un ritorno alla quotidianità del business as usual? Oppure, prevedendo che questa crisi lasci una traccia profonda nei comportamenti di acquisto e consumo (da una accresciuta sensibilità di spesa sino alla maggiore propensione allo shopping on line), dovremo ripensare le nostre strategie e trovare equilibri differenti tra efficienza ed efficacia per riconquistare economicità?

Nessuno può dare oggi risposte certe, data l’imprevedibilità che ancora ci attende nei prossimi mesi, ma immaginare che nel post-Covid tutto riparta come se nulla fosse accaduto e che le leve di manovra del business non meritino di essere riconsiderate sembra piuttosto difficile.

Il timore è che, come spesso capita in periodi di crisi o post-crisi, risulti molto più semplice recuperare economicità intervenendo sull’efficienza (tagliando i costi) piuttosto che sull’efficacia (assicurando i traguardi), manovrando per di più in modo brusco e tattico come in una vera lotta per la sopravvivenza. In un’ottica di lungo periodo questo approccio, se spinto troppo in là, può però minare le fondamenta di una impresa.

Allora, se intervenire sull’efficienza è giudicato irrinunciabile, è vitale che sia accompagnato dal ripensamento del modo di operare: ritorna così una volta di più sotto i riflettori uno degli ambiti più delicati della teoria economica, quello del change management.

Ricordiamo allora in proposito il contributo interessante di Beer e Nohria (*), che distinguono due teorie del cambiamento:

• la teoria E, basata sul valore economico: il cambiamento è top down, con riorganizzazioni, risparmi e riduzione di personale mirate a creare valore per gli azionisti, unica misura del successo delle misure;
• la teoria O, che si basa sulla costruzione di una cultura organizzativa, e agisce su comportamenti del personale, capacità di apprendimento, motivazione; qui il metro del successo è la crescente capacità dell’organizzazione ad imparare dall’esperienza. La leadership non è più top down, perché si favorisce al massimo la partecipazione dal basso.

Scegliere integralmente una delle due piste inevitabilmente scontenta qualcuno (i dipendenti nel primo caso e gli azionisti nel secondo); procedere in sequenza come spesso succede, cominciando con la fase E ma solo dopo (se mai ci si vuole arrivare) pensare alla O può intaccare dall’inizio la fiducia ed il senso di partecipazione dei dipendenti, che potrebbero non aderire alla fase del cambiamento culturale.

La raccomandazione dei due autori è procedere in parallelo costruendo vantaggio competitivo, con questi principi cardine:

• la gerarchia stabilisce la direzione, tutto il personale è coinvolto e partecipa a identificare e risolvere i problemi, il dialogo è costante;
• il focus è sia su struttura che cultura, per una sincera adesione ai valori e alla filosofia aziendale;
• si pianifica la spontaneità: il piano non è più un ordine rigido di battaglia ma un’architettura solida dove però la delega permette flessibilità;
• gli incentivi sono usati per rinforzare il cambiamento, non per guidarlo;
• i consulenti esterni sono risorse esperte nel valorizzare le persone.

Quando si parla di cambiamento, tutti si dichiarano d’accordo, ma il passaggio dall’identificarne le piste al metterle in pratica è sempre irto di mille difficoltà. Qui sta il segreto della creazione di vero vantaggio competitivo attraverso il change management: crederci in maniera ostinata, applicarlo con entusiasmo, misurarlo con onestà intellettuale. 

(*) M. Beer, N. Nohria, Cracking the Code of Change, Harvard Business Review, https://hbr.org/2000/05/cracking-the-code-of-change11