La coopetizione

Non significa cooperazione né competizione, bensì una sintesi tra le due, e più specificamente un accordo tra concorrenti per perseguire un obiettivo congiunto di sviluppo attraverso creazione di valore

Il termine non è nuovo, perché se ne parla già da decenni, ma i contesti attuali lo rendono estremamente attuale. Non significa cooperazione né competizione, bensì una sintesi tra i due, e più specificatamente un accordo tra concorrenti per perseguire un obiettivo congiunto di sviluppo attraverso creazione di valore.

 

Abitualmente i contesti competitivi generano comportamenti riconducibili ai giochi a somma zero, dove quello che un concorrente guadagna è esattamente identico a quello che l’altro perde: come cantavano gli Abba, “the winner takes it all”.

Se la competizione pura e diretta può far vincere molto, allo stesso tempo comporta rischi paralleli di perdita (sempre che non si domini il mercato) ed il sostenerla continuamente ed aggressivamente comporta investimenti importanti di risorse, cosa che può non essere sempre sostenibile.

 

Occorre aggiungere che la competizione non è solo orizzontale, tra marche cioè che si contendono quote dello stesso mercato, ma anche verticale, come quella per la ripartizione del margine tra aziende a monte e valle della catena del valore, quali produttori e distributori. Quando ad esempio la grande distribuzione lancia prodotti con il marchio dell’insegna, entra direttamente “in tackle” nel mondo della produzione, e le strategie di marketing dei due attori possono facilmente risultare conflittuali.

 

La coopetizione persegue invece un accordo tra entità che sarebbero naturalmente concorrenti, finalizzato all'ottenimento di vantaggi reciproci, in quella che si chiama ottica win-win: ciò che guadagna il primo concorrente non coincide più con quello che perde il secondo concorrente, ma entrambi beneficiano di vantaggi che migliorano la situazione di partenza. Vincono tutti, insomma.

Nascono così progetti volti ad esempio allo sviluppo congiunto di nuovi prodotti, alla ricerca di soluzioni tecnologiche avanzate, al risparmio di costi, al miglioramento dell’approccio distributivo (nel rispetto delle regole della concorrenza, ovviamente).

 

Certo non si può immaginare che coopetizioni siano fattibili sempre e con chiunque, perché sono funzione del contesto competitivo di mercato, dell’oggetto di collaborazione e della disponibilità dei potenziali partner. Per questo, ambito ed obiettivo della coopetizione devono essere chiaramente precisati e condivisi dalle parti, il ruolo di ciascuna definito, le modalità di lavoro formalizzate e controllate, tempistiche e indicatori di avanzamento concordati.

Aggiungo che la coopetizione è raccomandabile se i sono simili o compatibili i sistemi di valori su cui le due parti fondano il proprio operare sul mercato; se così non fosse, si rischiano facilmente incomprensioni o conflitti.

  

Cosa impedisce la coopetizione? Diffidenza o rancore verso la concorrenza, presunzione di poter sempre crescere da soli, timore di non guadagnarci realmente, riservatezza oltre misura, e così via. Preoccupazioni giustificabili, ma che in contesti in cui le complessità aumentano di giorno in giorno, le crescite sono risibili, la redditività sotto pressione, un pensiero laterale è più che raccomandato. Come nel gioco degli scacchi, non sempre il movimento libero ma lineare della torre o dell’alfiere è conveniente: il balzo creativo e laterale del cavallo è spesso la soluzione più appropriata. Guardiamoci intorno allora: la crescita, talvolta, si persegue anche collaborando con il presunto nemico.