La capacità di ascolto da "Chinese Wall" a "Yes Sir"

Sappiamo ascoltare attivamente?

... Facciamo muro o ci asserviamo?

 

Saper ascoltare attivamente non è una dote così comune nel management, benché sia senza dubbio un fattore di efficacia nel processo di comunicazione.

 

Come si sa, la comunicazione è un processo bidirezionale, tra chi comunica e chi la riceve. Il soggetto emittente che vuole comunicare un messaggio al soggetto ricevente, lo codifica, cioè lo “impacchetta” con un insieme di termini, modi di dire, esempi, immagini, suoni, o al limite anche solo gesti, che lui ritiene adeguati per far recepire correttamente  il messaggio dal ricevente. Questi, nel recepire il messaggio lo decodifica secondo il suo sistema di esperienze, valori, cultura, e può per questo interpretare il senso del messaggio differentemente da quanto auspicato dall'emittente.

 

Il feedback che, a questo punto, dal ricevente torna all'emittente come reazione al messaggio, è un’altra comunicazione, una forma di controllo  che permette di verificare comprensione, accettazione, obiezione, dubbio, e così via, in reazione al messaggio.

 

Prendendo qui il caso della comunicazione verbale face to face, è intuitivo come un ascolto attivo da parte di entrambi, cioè attento al contesto, alla persona, al messaggio come al feedback, nonché al linguaggio non verbale, sia il giusto “viatico” per una comunicazione efficace, senza errori ed in grado di evolvere grazie ad uno scambio costruttivo.

 

Tutto questo nella teoria; nella pratica, interferiscono spesso alcuni di fattori che inquinano il processo, minandone l’efficacia. Ne propongo qui qualcuno, con il relativo rischio:

 

- Ampiezza limitata di vocabolario = Imprecisione

- Uso improprio di terminologia = Equivoco

- Fretta = Indeterminatezza

- Volontà di nascondere dettagli = Manipolazione

- Volontà di affermare la propria autorità = Sopraffazione (Chinese Wall)

- Illusione di avere sempre ragione = Prevaricazione (Chinese Wall)

- Sottomissione gerarchica = Asservimento (Yes Sir)

 

Gli ultimi tre sono a mio parere piuttosto subdoli.

 

Non ascoltare nella presunzione di avere comunque ragione anche in caso di dubbio, o solo per affermare la propria autorità, porta a 

- erigere un “Chinese Wall” contro l’accoglimento costruttivo dei feedback,

- a resistere ad oltranza nel contraddittorio,

- a riempire le proprie osservazioni di “sì, però …”

- quindi, in pratica, a non ascoltare.

Spesso questi casi si manifestano nei confronti dei propri collaboratori, e non contribuiscono certo al progresso comunicativo, alle relazioni interpersonali e, più globalmente, al clima aziendale.

 

Troviamo in altri casi (ma che a volte coincidono con gli stessi di cui poco sopra, purtroppo)  la volontà costante di accondiscendere alla “volontà del capo”, orientando continuamente le proprie posizioni nel tentativo di cogliere l’approvazione del superiore gerarchico.

Questo atteggiamento viene spesso tenuto nella speranza che faciliti la propria ascesa gerarchica (il che purtroppo a volte succede!) ma testimonia certamente la mancanza di giuste capacità manageriali: un buon capo dovrebbe sempre scoraggiare questo atteggiamento speculativo.

 

Saper comunicare efficacemente passa senza dubbio dal saper ascoltare, partendo dalla difesa equilibrata della propria posizione e con la massima apertura mentale per tenere anche in conto istanze differenti, senza l’inquinamento di preclusioni, preconcetti, pregiudizi, o secondi fini non dichiarati.   

 

Solo uno scambio corretto, denso, ricco di sfumature, che si apre a prospettive differenti, che scardina abitudini, che coinvolge a seconda delle circostanze collaboratori di ogni livello, permette di imparare, e quindi di progredire.           

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