La teoria del “bidone della spazzatura"

Il processo di decisione non è quasi mai razionale, perché le sue componenti (persone, problemi, soluzioni) si mischiano casualmente: il rischio è non decidere o decidere male

Ho partecipato spesso a riunioni in cui i problemi da trattare erano definiti in modo confuso, il fluire degli interventi disorganizzato, le analisi inappropriate, e le possibili soluzioni si avvicinavano e allontanavano come in un tira e molla.

Sperimentavo in diretta la garbage can theory di Cohen, Marc e Olsen, la teoria citata nel titolo.

 

Questa teoria conferma il principio che il processo decisionale, come ogni comportamento economico, è tutto tranne che razionale e lo assimila ad un bidone della spazzatura. Più precisamente, il processo decisionale si svolge in un contesto (ad esempio una riunione, un consiglio di direzione, un comitato) in cui giocano tre componenti: le persone che hanno delega per decidere, i problemi da risolvere e le soluzioni da apportare. Come in un bidone, queste componenti si incontrano e mischiano in modo confuso e casuale, e quando il bidone viene rovesciato, ne esce la decisione.

 

Il processo di decisione, quindi, non avanza lungo la sequenza razionale “opportunità di decisione – generazione di alternative di decisione – valutazione delle conseguenze – decisione”, perché le tre componenti persone/problemi/soluzioni interagiscono in forma indipendente, anzi spesso in concorrenza: 

  • le persone hanno sentimenti e ambizioni personali, che possono non coincidere con gli obiettivi aziendali); in più, gli “stakeholders” impattati dalla decisione sono tanti ed è impossibile soddisfarli tutti
  • i problemi vengono vissuti con priorità differenti
  • le soluzioni solo le più svariate. 

Addirittura, secondo gli Autori, si arriva a queste anomalie:

  • si ha in mente una iniziativa e si inventa un problema al fine di attuarla quale soluzione
  • sentimenti e situazioni personali portano alla ricerca di decisioni che possano permetterne lo sfogo
  • i decisori cercano occasioni di decisione come impiego del tempo lavorativo e giustificazione di sé

Il contesto ambientale, i limiti cognitivi dei decisori, le visioni personali (quante volte sentiamo pronunciare la frase “sì, va bene, ma il problema è un altro …”, che rende sempre più indefinito il problema?) espongono così il processo decisionale al caso: si arriva a decidere quando il problema è già risolto, si decide ma non si dà seguito alla decisione, o non si decide affatto. Spesso si pesca una decisione possibile dal bidone e la si applica; magari non è adatta al problema, ma permette di sostenere di aver comunque deciso.

 

Per limitare questi rischi, l’azienda si deve organizzare con procedure, regole, routine che incanalano il processo, limitano la variabilità e lo spazio di decisione, massimizzano la coerenza tra interessi individuali e aziendali; in questa ottica è utile, ad esempio: 

  • definire, diffondere e condividere i valori aziendali nonché indicare modelli ideali di comportamento professionale cui tendere (a riduzione della soggettività)
  • avere una chiara struttura gerarchica, con descrittivi di responsabilità di missione che precisano e limitano l’accesso al processo decisionale (un contesto perfettamente democratico in cui tutti contribuiscono alla decisione, per quanto nobile, farebbe esplodere il nostro bidone)
  • formare il management sulla ottimizzazione del processo decisionale, per gestire l’effetto “bidone” e massimizzare il rigore professionale.